La follia è
una fase della vita di ogni singolo essere umano presente sulla faccia della
terra; l'alienazione mentale dalla propria lucidità, dalla propria ragione. Spesso
mi sono domandato perché questa mutilazione fosse capitata proprio a me,
da chi mi sia stata inflitta. Ho deciso di definirla con questo termine solo
quando mi sono reso conto di quello che mi stava capitando; la parola
malattia mentale non l'ho mai considerata veramente adatta.
La follia porta
allo sdoppiamento della personalità in modo che si abbiano due vite
completamente differenti tra loro. Personalmente, fingevo di mandare avanti la
mia carriera lavorativa, mentre, in realtà, vivevo nella solitudine della mia
stanza nella quale liberavo i sentimenti causati dalla mia mutilazione,
insudiciando i muri con grandi scritte e oblique ditate d'inchiostro, alcuni
versi di Dante oscenamente contraffatti. La solitudine ha indirizzato la mia
esistenza in un profondo e buio abisso d'agonia dal quale non sarei mai uscito;
questo perché provavo un insano piacere nel guardarmi allo specchio e vedere
due uomini in un solo corpo, due anime, entrambe perse. Più niente apparteneva
a un solo ed unico uomo, e tutta questa situazione mi stava consumando
lentamente. Nei miei più profondi desideri speravo di continuare con quella
farsa per altri vent’anni, forse trenta, beffando ogni attenzione del prossimo,
infoltendo intrighi e doppiezze. Non mi sveglierò mai un giorno negando ciò che
sento davvero: non negherò di aver perso la dolcezza verso la mia famiglia, di
non avere più quella voglia di lavorare che mi accomunava a tanti uomini, ma
non negherò nemmeno quello che sono diventato, quello che la follia mi ha
portato ad essere.
Ancora oggi, a
distanza di ormai tre anni da quando la mia famiglia ha compreso l’essere che
ero diventato, mi domando come abbiano fatto le persone che mi circondavano a
non accorgersi di niente. Spesso avevo rischiato di farmi scoprire – o forse
volevo proprio uscire allo scoperto –, ma nessuno si era mai chiesto perché io, uomo di grande onore, compissi certe
stramberie. E forse è proprio questa la motivazione per la quale ho deciso di
confessare, di rivelare il secondo uomo che si nascondeva nel mio corpo.
Ricordo perfettamente il giorno in cui tutto questo accadde, ricordo ogni
dettaglio, le espressioni sconvolte dei miei famigliari, quello che dissero.
Era una calda giornata estiva, mi svegliai al solito orario, fingendo ancora
una volta di andare al lavoro. Mi accertai che nessuno mi stesse guardando e mi
rinchiusi nel mio studio, che per me era una sorta di ”camera della solitudine”.
Non chiusi a chiave la porta, ma la lasciai socchiusa dato che sapevo che mia
moglie, curiosa com’era, avrebbe sicuramente sbirciato. Volevo farmi scoprire.
Lanciai qualche cartaccia sul pavimento, sporcai ulteriormente il muro con
delle frasi incomprensibili anche a me stesso, gettai a terra il vaso
contenente un paio di orchidee appassite in modo che si rompesse in mille
pezzi, disfai il letto e strappai le lenzuola. Non so ben spiegare il perché di
tutta quell’improvvisa foga nell’organizzare una messa in scena tale da
mostrarmi pazzo alla mia famiglia, so solo che funzionò meglio di quanto
credessi. Per sbaglio urtai il ginocchio contro lo spigolo del comodino e, per
questo motivo, lanciai, incoscientemente, un urlo, che spinse mia moglie a
correre su per le scale, ed irrompere nella mia camera. Il suo sguardo era
sconvolto, gli occhi quasi le uscivano dalle orbite, la bocca era spalancata a
formare una “o” immaginaria, come se volesse urlare, ma non ci riuscisse. In
seguito arrivò anche la matrona della casa – così la chiamavo –, che non rimase
del tutto stupita da ciò che vide. Ero sicuro che sospettasse di me già dal
principio degli avvenimenti e che mi avesse più volte sbirciato mentre mi
nascondevo nel mio studio. Le due donne rimasero immobili come due pezzi di
marmo a fissarmi, ed io sapevo bene come avrei dovuto comportarmi; un sorriso
sghembo e colmo di malizia si fece spazio sul mio volto e indicai con un cenno
del capo le scritte che sporcavano il muro, mostrandomi fiero del mio lavoro.
Entrambe mi guardavano in silenzio, incapaci di commentare quello che si
presentava alla loro vista, ma, nonostante questo, notai una differenza
abissale negli occhi di mia moglie rispetto alle occhiatacce della matrona:
cercava continuamente il mio sguardo, come se sperasse che tutto quello fosse
solo uno scherzo della sua immaginazione, e conservava ancora la dolcezza di
qualche anno prima, anche se delusa dall’uomo che ero diventato. Un uomo che
ormai non condivideva niente con l’essere originario, che non le prestava più
alcuna attenzione perché troppo impegnato a curarsi di se stesso, un uomo che
era fuggito dalla realtà di tutti i giorni, rifugiandosi in un mondo di propria
creazione.
Dopo la
rivelazione, tutto è drasticamente cambiato: coloro che vivevano nella mia
stessa casa sono scappati perché mi ritenevano, e mi ritengono ancora ora, un
pazzo; sono stato allontanato da chi credevo mio amico e da chi aveva da sempre
la mia fiducia; non ho contatti di nessun tipo con nessuno. Sono cambiato anche
io in prima persona: ormai parlo con i fantasmi del mio passato che mi vengono
a trovare, rimpiango di avergli permesso di farmi perdere la mia anima,
riguardo i muri del mio studio e mi pento di essermi deciso a far scoprire
tutto a mia moglie. Mi merito di essere stato abbandonato; i mostri – così mi
definisco – non sono degni di avere al loro fianco persone che li amino e che
pendano dalle loro labbra perché si fidano si loro e non credano che metteranno
mai a repentaglio la loro vita. Purtroppo io ero diventato ciò che avevo sempre
criticato durante i dibattiti iniziati nell’ora di cena, mentre tutti ci
trovavamo intorno a un tavolo a riflettere su una realtà che ci sembrava
distante dalla nostra, e questo mi rendeva ancora di più una presenza negativa
nella vita di ognuno.
Martina Gallo
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